8e Journée d'Étude

Rêves et fantasmes chez l’enfant

samedi 22 mars 2025

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Actualités, Champ freudien dans le monde

Il fantasma e l’oggetto nel bambino

Italie – Bologne

Carlo De Panfilis
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Vers la JIE8 “Rêves et fan­tasmes chez l’enfant”

Samedi 7 décembre 2024

 

Il fan­tas­ma e l’og­get­to nel bambino

Carlo De Panfilis

 

Introduzione alla pri­ma gior­na­ta di stu­dio del­la rete Bambino Inconscio Psicoanalisi e Politica

Lacan ha crea­to il ter­mine trou­ma­tis­mo[1] per illus­trare la disar­mo­nia fon­da­men­tale, la dis­cor­dan­za, il buco che esiste tra il bam­bi­no e ciò che lo cir­con­da. Il bam­bi­no è sos­pe­so in un mon­do capric­cio­so, orga­niz­za­to secon­do un codice di cui non ha la chiave. Quando il bam­bi­no incon­tra la man­can­za dell’Altro, quan­do si tro­va pre­so o invis­chia­to nel desi­de­rio dell’Altro, si tro­va di fronte a un buco che Lacan chia­ma il reale. “Quando il sog­get­to – affer­ma J.-A. Miller – deve fare i conti con l’o­pa­ci­tà del desi­de­rio del grande Altro e ques­ta opa­ci­tà, la sua illeg­gi­bi­li­tà, ha l’ef­fet­to del­la Hilflosigkeit freu­dia­na, l’an­gos­cia del sog­get­to, è allo­ra che ricorre al fan­tas­ma come dife­sa”[2].

Una ris­pos­ta al reale 

Possiamo vedere nel Fort-Da[3] la matrice del fan­tas­ma, il pri­mo atto del­la sua cos­ti­tu­zione, ovve­ro il pri­mo atto con cui il bam­bi­no si difende dal reale appog­gian­do­si al gio­co, al lin­guag­gio, all’og­get­to. Attraverso la paro­la cos­truisce il pro­prio ogget­to e si cos­ti­tuisce come sog­get­to desi­de­rante. È ciò che ave­va col­to Freud nell’osservazione del gio­co ripe­tu­to più volte, che mos­tra come un bam­bi­no pos­sa diri­gere se stes­so sull’Altro pal­cos­ce­ni­co di un fan­tas­ma. È il gio­co di un bam­bi­no che fa spa­rire un roc­chet­to, che lan­cia e poi ripor­ta sul bor­do del let­to, can­tan­do il movi­men­to con le parole fort e da, (via e qui). appog­gian­do­si dunque sull’or­dine signi­fi­cante. Il bam­bi­no che sem­bra gio­care da solo con il suo roc­chet­to sta gio­can­do con l’Altro. Gioca con l’as­sen­za dell’Altro reale, “tam­po­na l’ef­fet­to del­la scom­par­sa del­la madre facen­do­sene l’a­gente”[4]. In effet­ti il lin­guag­gio, il “via” e il “qui”, attra­ver­so il gio­co gli per­mette di pren­dere le dis­tanze dal­la sua angos­cia : “fare di sé il regis­ta” gli per­mette di annul­lare, di can­cel­lare il fat­to che, altri­men­ti, è solo il burat­ti­no del signi­fi­cante, “gli per­mette di consi­de­rar­si come il mac­chi­nis­ta, cioè come il regis­ta di tut­ta la cat­tu­ra imma­gi­na­ria di cui altri­men­ti non sarebbe che la mario­net­ta vivente”[5]. La real­tà si cos­ti­tuisce per il bam­bi­no in ques­to modo, sos­te­nu­ta da un ogget­to e da un gio­co che ne sono l’os­sa­tu­ra e al tem­po stes­so si cos­ti­tuisce il soggetto.

Produrre un sog­get­to, cos­truir­si un corpo

Il bam­bi­no gio­ca, cioè si diverte, pri­ma con le parole e poi con l’e­qui­va­lente di un pez­zo del suo cor­po, il roc­chet­to. L’osservazione di Freud sul nipote ci mos­tra come ” l’o­pe­ra­zione del signi­fi­cante, l’is­cri­zione nel­la cate­na signi­fi­cante (fort-da) pro­du­ca un sog­get­to, e come ques­to non avven­ga sen­za l’es­tra­zione di un ogget­to.”[6] Si pone quin­di la ques­tione di come sia pos­si­bile gene­rare un tale effet­to di sog­get­to nei bam­bi­ni per i qua­li l’o­pe­ra­zione di taglio, sepa­ra­zione e nega­zione del godi­men­to non ha avu­to luo­go o che pre­sen­ta­no dif­fi­col­tà nel­la sua mes­sa in atto, come nei bam­bi­ni il cui cor­po non ris­ponde ad alcune fun­zio­ni sen­za che ci sia una lesione né la cos­ti­tu­zione di un sin­to­mo. Ci sono bam­bi­ni che inciam­pa­no con il cor­po e nel loro cor­po e nelle parole dif­fi­ci­li da arti­co­lare. Corpo dif­fi­cile da rap­pre­sen­tare e da loca­liz­zare nel­lo spa­zio.  Bambini inabi­li nell’uso degli ogget­ti o mala­ti di viva­ci­tà ; sen­za parole o sempre dis­trat­ti. Nella cli­ni­ca dell’inabile con il cor­po o del cor­po mal­des­tro, addor­men­ta­to, è la cos­tru­zione del cor­po che è in ques­tione, è l’av­ve­nire del sog­get­to di fronte al reale pul­sio­nale che è in gioco.

Il gio­co, il fan­tas­ma e l’oggetto 

Attraverso i sogni, nel gio­co, nei suoi rac­con­ti, il bam­bi­no mette in sce­na i pro­pri signi­fi­ca­ti, dà inter­pre­ta­zio­ni che mira­no a dare un sen­so a ciò che si pre­sen­ta come trau­ma : è pre­so nelle sue parole come sog­get­to, il che è diver­so dall’es­sere nel­la posi­zione di ogget­to. Soggetto di desi­de­rio : il tem­po zero del desi­de­rio, il suo sor­gere ” è deter­mi­na­to dal pri­mo ogget­to che ha la carat­te­ris­ti­ca di essere cedi­bile”[7]. In psi­coa­na­li­si non esis­to­no altri ogget­ti se non quel­li che pos­so­no essere col­ti nel e dal mon­do del lin­guag­gio : la sim­bo­liz­za­zione per­mette al bam­bi­no di tro­vare la sua posi­zione in rela­zione ai suoi ogget­ti e in rela­zione agli altri di cui è ogget­to. “Ci sono due tipi di ogget­ti, quel­li che pos­so­no essere condi­vi­si e quel­li che non pos­so­no essere condi­vi­si, che Lacan chia­ma ogget­ti meto­ni­mi­ci”[8]. Un ogget­to che non può essere condi­vi­so si rife­risce all’ oggetto-causa del desi­de­rio e non ci si può avvi­ci­nare a ques­to sen­za gli altri ogget­ti che fan­no parte del mon­do del bam­bi­no. Nel bam­bi­no come nell’adulto occorre che il sog­get­to abbia suf­fi­cien­te­mente cos­trui­to il fan­tas­ma che lo ani­ma, con la ver­sione dell’oggetto di cui dis­pone secon­do l’età. È ques­ta la dimen­sione del­lo svi­lup­po secon­do Lacan.

Per un’e­ti­ca dell’atto

La pra­ti­ca con i bam­bi­ni ci invi­ta a cogliere il grande lavo­ro con il quale l’es­sere par­lante si tro­va ingag­gia­to fin dai pri­mi momen­ti del­la pro­pria esis­ten­za per confron­tar­si con il reale ed emer­gere come sog­get­to. L’incontro con il dire del bam­bi­no, gli ogget­ti che lo accom­pa­gna­no, i suoi gio­chi nel quale cer­ca di emer­gere come sog­get­to, sono espe­rienze uniche come è uni­co il sog­get­to. Diventano uniche lì dove se ne per­ce­pisce la dimen­sione dell’at­to che le sos­tiene. Questi incon­tri diven­ta­no allo­ra una pos­si­bi­li­tà per il bam­bi­no e per chi se ne prende cura, nelle isti­tu­zio­ni, nei luo­ghi di cura, nel sociale per sos­te­nere il desi­de­rio del bam­bi­no nel suo divenire.

Nella gior­na­ta di stu­dio ci incon­tre­re­mo per condi­vi­dere espe­rienze, pra­tiche e ricerche.

[1] J. Lacan, Le Séminaire, Livre XXI, Les non dupes errent, leçon du 19 février 1974.

[2] J.-A. Miller, Une intro­duc­tion à la lec­ture du Séminaire VI, La Cause du désir, 86, 2014 pp. 61–72.

[3] S. Freud, Opere, vol 9, Al di là del prin­ci­pio del pia­cere, [1920], Torino, Boringhieri 1977, p 193.

[4] J. Lacan, La dire­zione del­la cura e i prin­ci­pi del suo potere, Scritti, Torino, Einaudi 1974 e 2002, p. 633.

[5] Ibidem.

[6] P. Lacadée, Un petit jeu comme équi­valent d’un fan­tasme Le Pari de la Conversation – Numero 18, Avril 2024.

[7] J.  Lacan, II Seminario, Libro X, L’angoscia, Torino, Einaudi, 2003, p. 361.

[8] M‑H. Brousse, De l’en­fant objet aux objets de l’en­fant, La Petite Giraffe, n°26, Institut du Champ Freudien, Juin 2007, p 38.

 

La biblio­gra­phie acces­sible ci-dessous

 

L’argument en français

Il fan­tas­ma e l’og­get­to nel bambino

Carlo De Panfilis

Introduction à la pre­mière jour­née d’étude du réseau Enfant Inconscient Psychanalyse

 

Lacan a créé le terme trou­ma­tisme[1] pour illus­trer la dys­har­mo­nie fon­da­men­tale, la dis­cor­dance, le trou qui existe entre l’enfant et ce qui l’entoure. L’enfant est sus­pen­du dans un monde capri­cieux, orga­ni­sé selon un code dont il n’a pas la clef. Lorsque l’enfant ren­contre le manque de l’Autre, lorsqu’il se trouve pris ou empê­tré dans le désir de l’Autre, il se trouve devant un trou que Lacan nomme le réel. « Quand le sujet – affirme J.-A. Miller – a affaire à l’opacité du grand Autre et que cette opa­ci­té, son illi­si­bi­li­té, a pour effet l’Hilflosigkeit freu­dienne, la détresse du sujet, c’est alors qu’il a recours au fan­tasme comme à une défense[2].

Une réponse au réel

Nous pou­vons voir dans le Fort-Da[3] la matrice du fan­tasme, le pre­mier acte de sa consti­tu­tion, le pre­mier acte par lequel l’enfant se défend du réel au moyen du jeu, du lan­gage, de l’objet. À tra­vers la parole il construit son objet et se consti­tue comme sujet dési­rant. C’est ce que Freud a com­pris dans l’observation du jeu répé­ti­tif, un jeu qui montre com­ment un enfant peut se diri­ger lui-même sur l’Autre scène d’un fan­tasme. Le jeu d’un enfant qui fait dis­pa­raître une bobine, qu’il lance et puis reporte sur le bord du lit, en accom­pa­gnant le mou­ve­ment avec les paroles fort et da, s’appuyant ain­si sur l’ordre signi­fiant. L’enfant qui semble jouer tout seul avec sa bobine tout en jouant avec l’Autre. Il joue avec l’absence de l’Autre réel, « tam­ponne l’effet de la dis­pa­ri­tion de la mère en se fai­sant l’agent »[4]. En effet, le lan­gage, ces mots « par­ti » et « ici », à tra­vers le jeu lui per­mettent de prendre les dis­tances de son angoisse : « se trans­for­mer en met­teur en scène » lui per­met d’annuler, d’effacer le fait que, sinon, il ne serait que la marion­nette du signi­fiant, « lui per­met de se consi­dé­rer comme le conduc­teur de train, comme le met­teur en scène de toute la cap­ture ima­gi­naire dont il ne serait, sinon, que la marion­nette vivante »[5]. Pour l’enfant, la réa­li­té se consti­tue ain­si, sou­te­nue par un objet et par un jeu qui en sont l’ossature et dans le même temps le sujet se constitue.

Produire un sujet, se construire un corps

L’enfant joue, se diver­tit, d’abord avec les mots et ensuite avec l’équivalent d’un mor­ceau de son corps, la bobine. L’observation de Freud de son petit-fils nous montre com­ment « l’inscription dans la chaîne signi­fiante [Fort-Da] pro­duit un sujet, l’opération du signi­fiant, pas sans l’extraction d’un objet. »[6] Ainsi se pose la ques­tion de com­ment est-il pos­sible de pro­duire un tel effet de sujet chez des enfants pour les­quels n’a pas eu lieu l’opération de cou­pure, de sépa­ra­tion et de néga­tion de la jouis­sance ou qui pré­sentent des dif­fi­cul­tés dans leur mise en acte, comme pour les enfants dont le corps ne répond pas à cer­taines fonc­tions sans pour cela qu’il y ait une lésion ou la consti­tu­tion d’un symp­tôme. Il y a des enfants qui tré­buchent avec leur corps et dans leur corps et avec les paroles, dif­fi­ciles à arti­cu­ler. Un corps dif­fi­cile à repré­sen­ter et à loca­li­ser dans l’espace. Des enfants peu habiles au manie­ment des objets ou malades de viva­ci­té ; sans paroles ou tou­jours dis­traits. Dans la cli­nique des sujets peu habiles avec le corps ou mal­adroits avec le corps, un corps endor­mi, se pose la ques­tion de la construc­tion du corps, est en jeu l’avenir du sujet face au réel pulsionnel.

Le jeu, le fan­tasme et l’objet

Avec ses rêves, ses jeux, ses récits, l’enfant met en scène ses propres signi­fiés, donne des inter­pré­ta­tions qui tendent à don­ner un sens à ce qui se pré­sente comme trau­ma : il est pris dans ses paroles en tant que sujet, ce qui est dif­fé­rent que de se trou­ver dans la posi­tion d’objet. Sujet du désir : le temps zéro du désir, son sur­gis­se­ment « déter­mi­née par le pre­mier objet carac­té­ris­ti­que­ment ces­sible ».[7] En psy­cha­na­lyse il n’existe pas d’autres objets que ceux qui peuvent être pris dans et du monde du lan­gage : la sym­bo­li­sa­tion per­met à l’enfant de trou­ver sa posi­tion en rela­tion à ses objets et en rela­tion aux autres dont il est objet. « Il y a deux types d’objets, ceux qui peuvent être par­ta­gés et ceux qui ne peuvent l’être, que Lacan appelle objets méto­ny­miques »[8]. Un objet qui ne peut être par­ta­gé se réfère à l’objet-cause du désir et on ne peut s’en rap­pro­cher sans les autres objets qui font par­tie du monde de l’enfant. Chez l’enfant comme chez l’adulte il faut que le sujet ait suf­fi­sam­ment construit le fan­tasme qui l’anime, avec la ver­sion de l’objet dont il dis­pose selon son âge. Ceci est la dimen­sion du déve­lop­pe­ment selon Lacan.

Pour une éthique de l’acte

La pra­tique avec les enfants nous invite à sai­sir le grand tra­vail auquel l’être par­lant se trouve enga­gé depuis les pre­miers moments de son exis­tence pour se confron­ter avec le réel et deve­nir sujet. La ren­contre avec le dire de l’enfant, les objets qui l’accompagnent, ses jeux sont des expé­riences uniques comme est unique le sujet. Elles deviennent uniques là où on en per­çoit la dimen­sion de l’acte qui les sou­tient. Ces ren­contres deviennent alors une pos­si­bi­li­té pour l’enfant et pour qui en prend soin, dans les ins­ti­tu­tions, dans les lieux de soin, dans le social pour sou­te­nir le désir de l’enfant.

Durant la jour­née d’étude nous nous ren­con­tre­rons pour par­ta­ger expé­riences, pra­tiques et recherches.

[1]. Lacan J., Le Séminaire, livre XXI, Les non dupes errent, leçon du 19 février 1974.

[2]. Miller J.-A., « Une intro­duc­tion à la lec­ture du Séminaire VI », La Cause du désir, no 86, 2014, p. 65–66.

[3]. Freud S., Œuvres, vol.15, « Au-delà du prin­cipe de plai­sir », 1920.

[4]. Cf. Lacan J., « La direc­tion de la cure et les prin­cipes de son pou­voir », Écrits, Paris, Seuil, 1966.

[5]. Ibid.

[6]. Lacadée P., Un petit jeu comme équi­valent d’un fantasme.

[7]. Lacan J., Le Séminaire, Livre X, L’Angoisse, Paris, Seuil, 1962 ‑1963, p. 381.

[8]. Brousse M.-H., « De l’enfant objet aux objets de l’enfant », La petite Girafe, no 26, juin 2007, p. 38.

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